Descrizione

L’inverno novarese è la stagione dei grigi e delle nebbie e solo davanti al teatro regna la luce: i lampadari dell’atrio, straordinariamente luminosi, la riversano sulla folla che si accalca, eccitata, vitale e rumorosa. Ci sono i popolani del loggione con i loro abiti migliori, gli ufficiali con bottoni e spalline lucenti, le dame borghesi che esibiscono il meglio dei loro guardaroba e poi i nobili e i signori che sembrano splendere di luce propria.
Ad attendere i Marchini fuori dai portali c’è Pieroni, che è in servizio, ma che ha organizzato le cose in modo da potersi liberare di tanto in tanto. Al suo fianco c’è Dada, perché Marchini ha pensato che alla moglie avrebbe fatto piacere una compagnia giovane e brillante: la ragazza è decisamente affascinante con
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una semplice gonna grigia lunga e diritta, una camicia candida e un bolero decorato con perline e cordoncino scuro: un omaggio spagnoleggiante al tema dell’opera.
Poi, a un tratto, le luci iniziano a spegnersi a una a una, la penombra cala e con essa si abbassano le voci fino a smorzarsi del tutto. Nel silenzio palpitante di attesa e nel buio si intravedono solo le piccole luci di servizio dell’orchestra.
Poi, come ringhio o come tuono, si alza il suono degli strumenti che si accordano. Segue un attimo di silenzio, come se tutto il teatro fosse in attesa di un ultimo dettaglio per cominciare. E infine arriva dal loggione un potente: «Tacuma!» con la voce del Giuan dal trentasett, il duce e dittatore della piccionaia del Coccia, conosciuto da tutti perché gira per la città cantando a voce spiegata le arie d’opera, mentre spinge il carretto con i mobili della ditta Tassara.
Ottenuto il benestare del Giuan, il sipario si apre sull’incantesimo della scena.
(Marco Scardigli, Dada e il mistero dei Topi di teatro, Interlinea)